Il neoliberismo quale ideologia fondamentalista

Privatizzare, polarizzare, concentrare a livello sociale; destrutturare, individualizzare, superficializzare, a livello individuale. Queste sono le caratteristiche del terzo regime totalitario dell’epoca moderna: il Neoliberismo.

Il liberalismopromuove, sostiene MacIntyre (A. MacIntyre, After Virtue.), una visione del mondo sociale concepito come un’arena nella quale ciascun individuo che tenta di raggiungere quello che crede sia il proprio bene, ha bisogno di essere protetto da altri individui attraverso la garanzia del rispetto dei diritti individuali. L’argomentazione morale all’interno del liberalismo non può pertanto partire da qualche concezione di un autentico bene comune che sia qualcosa di più e di diverso dalla somma delle preferenze degli individui.

Il governo e la legge sono propagandati come neutrali tra concezioni rivali del bene, mentre in realtà tutto è funzionale a preservare l’ordine liberale. Il liberalismo è pertanto un’ideologia come le altre e, dal punto di vista pratico, è la politica di un gruppo di élite i cui membri, attraverso il controllo della macchina del partito e dei mezzi di comunicazione, predeterminano quasi interamente la gamma di scelte politiche aperte alla gran massa degli elettori comuni. A questi elettori, a parte il fare scelte elettorali, non si richiede altro che la passività. La politica e il suo ambiente culturale sono divenute aree professionali e, tra i professionisti più importanti, vi sono i manipolatori dell’opinione della massa. Occorre a ciò aggiungere che l’ingresso e il successo nelle arene della politica liberale richiedono sempre maggiori risorse finanziarie, che possono venire solo dal capitalismo delle multinazionali: in questo modo il liberalismo assicura l’esclusione della maggior parte delle persone dalla possibilità di partecipazione attiva e razionale alla determinazione della forma di comunità nella quale essi stessi vivono. Non è un caso l’accanimento che, per esempio in Italia, vi è stato contro il finanziamento pubblico ai partiti. Fallito il referendum del 2000 promosso dai Radicali, ci pensarono poi Monti e Letta, due estremisti del neoliberismo, ad abolirlo. 

Nella società moderna, non più ordinata verso il bene comune, i valori di mercato vengono eretti a valori centrali e l’accumulo diviene la forza trainante dell’intera struttura sociale (A. MacIntyre, Three Perspectives on Marxism: 1953, 1968, 1995, cit., p. 149.). Il successo nella vita diviene una questione di acquisizione di beni di consumo e non è certo una sorpresa che la cremastica o la pleonexia, l’impulso cioè ad avere sempre di più, venga considerata una delle virtù centrali della società liberale capitalistica, mentre era uno dei principali vizi per Platone e Aristotele (A. MacIntyre, The Privatization of Good, cit., pp. 353-4.49 A. MacIntyre, After Virtue, cit., p. 195. 50 A. MacIntyre, Three Perspectives on Marxism: 1953, 1968, 1995 in Ethics and Politics, cit., p. 154.).

Ciò a cui assistiamo nelle società liberali contemporanee è dunque un processo di «privatizzazione del bene», sostiene MacIntyre e nelle società liberali contemporanee non vi è nessuna concezione condivisa di che cosa sia il bene per l’uomo e questo comporta un’assenza di regole morali determinate e condivise, con la conseguenza che viene a mancare una sistematica discussione pubblica su questioni morali, che sarebbero fondamentali per una comunità.

Sostiene ancora MacIntyre: la cultura dominante della modernità post-illuministica manca di un qualunque accordo, per non parlare di un qualunque accordo razionalmente fondato o anche solo razionalmente discutibile, riguardo a che cosa renderebbe razionale per un individuo sacrificare la propria vita per un altro o per gli altri, o che cosa renderebbe razionale consentire che la vita di un individuo venga sacrificata per il bene di un altro individuo o di un gruppo o istituzione.

La conseguenza è che oggi, nella civiltà occidentale, ci troviamo privi di un telos, di una ragione da perseguire nelle nostre vite: viviamo in una condizione di perenne anomia, appoggiandoci sempre più spesso a pretesi ‘esperti’.

Ritornare ad Aristotele significa quindi ritrovare l’idea di un fine, di una causa verso cui tendere ed in base alla quale giudicare le azioni: sapere che gli uomini, in quanto esseri razionali, hanno un fine specifico, ci consentirebbe di valutare se le nostre azioni tendono a quel fine o se sono in disaccordo con esso. Proprio come Aristotele, MacIntyre ritiene che occorra partire dalla concezione della «vita buona per l’uomo», per potere valutare la qualità della società contemporanea, osservando se in essa l’essere umano può davvero sviluppare le proprie potenzialità più tipicamente umane, realizzando quell’eudaimonia così ben descritta da Aristotele. (vedi: Giovanni Giorgini, Università di Bologna, Studia Philologica Valentina ,Vol. 16, n.s. 13 (2014) 141-164 ).

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